venerdì 21 settembre 2012

L'erezione di un monumento in onore dei caduti sul Carso da parte della "Brigata Lupi".

La settimana Incom B1398 del 26/10/1938
L'erezione di un monumento in onore dei caduti sul Carso da parte della "Brigata Lupi".

http://www.youtube.com/watch?feature=endscreen&v=UOm3utKSHdI&NR=1

http://www.youtube.com/watch?v=6czogl5zm7g


Alle Foci del Timavo   

            La  1° GM fu  una guerra di estenuanti attese nelle trincee  e di assalti furibondi all’arma bianca per la conquista metro a metro del territorio. Senza niente togliere agli altri soldati impegnati sulle Alpi, possiamo dire che la guerra sul Carso, data la particolare morfologia del terreno, fu veramente durissima.

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  Le due foto sono dovute al lavoro encomiabile del gruppo di speleologi di Monfalcone che hanno ricostruito lo svolgimento delle battaglie su Carso, nella zona dove fu operativa la Brigata Toscana.(da Natura Nascosta) 
          La “Brigata Toscana” composta dai reggimenti 77°e 78° Lupi di Toscana è indissolubilmente legata a Gabriele d’Annunzio e al Maggiore Giovanni Randaccio.
Le loro storie si intrecciano talmente che il Poeta, pur avendo ideato e partecipato ad imprese clamorose, come il volo su Vienna, la beffa di Buccari e tante altre ancora, resterà per tutta la vita legato al ricordo del periodo, che trascorse con “ I Lupi di Toscana”.
Lo schieramento delle truppe nel settore del Timavo.
La mattina del 23 maggio la 3ª Armata al comando di Emanule Filiberto Duca d’Aosta fu cosi schierata:
XIII Corpo d’Armata da Castagnevizza al Vallone di Iamiano;
IX Corpo d’Armata in linea dall’altura del Faiti fino alle porte di Castagnevizza;


VII Corpo d’Armata da quota 144 fino al mare.
La riserva della 3ª Armata era formata da:
XIV Corpo d’Armata al comando del Tenente Generale Sagramoso con la 21ª e
28ª Divisioni posizionate nella zona di Castion di Strada, Porpetto e Ruda; la 20ª
“Divisione nella zona di Fogliano e San Michele del Carso; 4 battaglioni di Bersaglieri ciclisti ad Aquileia.
Il totale dei soldati e dei mezzi a disposizione della 3ª Armata era di 208 battaglioni, 4 squadriglie e 1170 pezzi d’artiglieria divisi in 489 di piccolo calibro, 646 di medio calibro, 35 di grande calibro, oltre che la disponibilità di 536 bombarde.
Riguardo allo schieramento avversario, il Comando Supremo Italiano era stato informato che al fronte nessuna nuova forza era giunta in rincalzo al nemico.
Pertanto la 5ª Armata austroungarica del III settore era composta da:
VII Corpo d’Armata con le Divisioni 44ª Standschutzen, 17ª e 41ª Honved;
XXIII Corpo d’Armata con le Divisioni 10ª, 7ª, 16ª e con la 28ª Divisione in riserva.
La riserva della 5ª Armata austrungarica era inizialmente composta da quattro Divisioni, ma solamente due, la 9ª e la 48ª, erano disponibili per essere impiegate sul Carso.” (da Natura Nascosta Gruppo Speleologico Monfalconese ADF, dall’articolo: 77° E 78° REGGIMENTO FANTERIA “LUPI DI TOSCANA”.LE OPERAZIONI DEL MAGGIO 1917 NEL SETTORE DI MONFALCONE“TUSCI AB HOSTIUM GREGE LEGIO VOCATI LUPORM”di Riccardo D’Ambrosi.)
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       La Brigata Toscana, con al comando il Generale Breschi con il 77° e 78°rgt. faceva parte del VII corpo d’armata. Nell’offensiva, del novembre del 1916 sul Carso, Giovanni Randaccio, da capitano, alla testa di un battaglione si era lanciato all’assalto del Veliki e del Faiti, dove l’esercito nemico aveva poderose fortificazione, trincee ed era ben agguerrito, facendo sventolare, sulle posizioni conquistate, la bandiera tricolore portata da d’Annunzio sulla linea del fuoco. In seguito a quell’azione era stato promosso maggiore per meriti di guerra.
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             Il  28 maggio del 1917, truppe della 45a divisione furono lanciate verso Duino. Il 77° reggimento fanteria della brigata “Toscana” stava quasi per raggiungere la mèta quando ricevette ordine di ritirarsi. Il maggiore Giovanni Randaccio, Gabriele d’Annunzio, con  pochi fanti, erano in prima linea sotto una pioggia di  proiettili nemici. Portavano con loro la grande bandiera che d’Annunzio avrebbe voluto piantare sulla sommità del castello di Duino. Dovendo ripiegare, per l’ordine ricevuto dal comando, Randaccio e d’Annunzio, dopo essersi assicurati che  i fanti fossero rientrati, rimasti ultimi,  stavano attraversando, su una passerella improvvisata, il Timavo, quando il maggiore fu ferito a morte. Aveva 34 anni.
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         Giovanni Randaccio fu sepolto nel cimitero di Aquileia e d’Annunzio, nell’orazione funebre, narrò l’eroica morte dell’amico e ne coprì la salma con la bandiera del Timavo.
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                     Al Maggiore Randaccio, in seguito,  fu conferita la medaglia d’oro al valor militare con la seguente motivazione:
 “Manteneva sempre vivo nel suo battaglione quello spirito aggressivo col quale lo aveva guidato alla conquista d’importanti posizioni nemiche. Attaccava quota 28, a sud del Timavo, con impareggiabile energia, e, nonostante le gravi difficoltà, l’occupava. Subito dopo, colpito a morte da una raffica di mitraglia, non emise un solo gemito, serbando il viso sereno e l’occhio asciutto; portato alla Sezione di Sanità vi soccombette mantenendo anche di fronte alla morte quell’eroico contegno che tanto ascendente gli dava sulle dipendenti truppe quando le guidava all’assalto”.
E ai reggimenti dei Lupi di Toscana:

” Con impeto irrefrenabile assaltarono e travolsero le più formidabili posizioni, con orgogliosa audacia cercarono e sostennero la lotta vicina, fieramente sprezzando i più gravi sacrifici di sangue ed acquistando fama leggendaria, si che il nemico sbigottito ne chiamò ” Lupi ” gli implacabili fanti. (Veliki-Fajti, 1-3 novembre 1916; Floudar – S. Giovanni di Duino – Foci del Timavo, 23-30 maggio 1917; 23 agosto – 3 settembre 1917; Tagliamento: 2-3 novembre 1918 ) “. (Bol1. Uff. anno 1920, disp. 47 e 86) .
                 Da allora i soldati del 77° e 78° reggimento,  portano sul petto a sinistra, un distintivo dorato con due teste di lupo e il motto che compare sullo stemma dei reggimenti è: “Tusci ab hostium grege legio vocati luporum”
           Gabriele d’Annunzio, raccolse le reliquie del suo amico e le gocce di sangue, che avevano intriso la divisa e le mostrine,  le fece inserire in cristalli, come pietre preziose, ed incastonare in una Croce: la  Croce del Sangue.
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           Conservò questa Croce fino al 1924 anno in cui la donò ai suoi Lupi. Ecco la lettera con cui il Poeta accompagnò la donazione:
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L’ultimo silenzio per i Lupi di Toscana

             Vedo che questo post è molto cliccato dai Lupi di Toscana,
consiglio ai visitatori di andare direttamente sul sito
troverete notizie, servizi fotografici, amici e dove potete anche intervenire con vs. notizie.  
LUPI!!
                                                                                                                    rgtlupi1     Dopo 146 anni di storia il glorioso 78/mo reggimento  “Lupi di Toscana”verrà sciolto.
             Il 31/03/08   Verrà sancita la fine operativa del reggimento.
              Uno dei più gloriosi dell’Esercito italiano con la Bandiera decorata con l’ordine militare d’ Italia, una medaglia d’oro, due medaglie d’ argento al valor militare, una medaglia d’argento al valor civile, due attestati di pubblica benemerenza al valor civile e decine di medaglie al valore per imprese eroiche di singoli fanti.
     bslupi                              Nel novembre 1916 in località Veliki- Faiti il reggimento si copre di gloria e viene decorato con medaglia d’oro. Nella motivazione della medaglia si legge:” il nemico, sbigottito dall’eroismo dei fanti del 78° gridò “ Ma questi non sono uomini, sono lupi “. Da allora i soldati del 78° reggimento, ai miei tempi di stanza a Firenze e Livorno, portano sul petto a sinistra, un distintivo dorato con due teste di lupo.
    dist_lupi          E’ il reggimento nel quale ho adempiuto all’obbligo militare, come  sottotenente, al comando di un plotone di assaltatori.
In memoria di tutti i caduti verrà suonato per l’ultima volta il silenzio.
                   Reggimento present’arm!!!    “LUPI”

Alle foci del Timavo.

La Croce del Sangue
Come uscire dalla storia ed entrare nella leggenda.
Alle foci del Timavo.
          La 1° GM, la grande guerra, fu grande in tutto, grande per il  numero delle nazioni partecipanti, grande per le sofferenze patite da milioni di soldati, nelle alterne vicende di sconfitte e vittorie, e tragicamente grande per il doloroso computo dei caduti. Voglio raccontare un episodio di una battaglia, una cruenta  battaglia, che si combatté  alla fine del maggio 1917,  sul Carso, alle foci del Timavo, nei pressi di  Duino (TS). A questo scontro  prese parte anche Gabriele d’Annunzio che fu partecipe di un episodio altamente drammatico.
               Le foci del Timavo, come  molte altre località italiane, sono un luogo la cui storia si perde nel passato e numerose sono le citazioni di poeti e storici dell’antichità. In questo luogo c’è qualcosa di diverso, che va oltre la realtà,  come in una visione schopenhaueriana  della natura qui si percepisce che le immagini, che i nostri occhi inviano al cervello, sono incomplete, sono solo una rappresentazione parziale. Sotto le tranquille acque, che sgorgano dalle rocce, si avverte un enigma che per molti anni è rimasto tale. Un fiume, uno strano fiume,  Il fiume Timavo.
    Sotto l’apparente innocenza delle foci si nasconde, nelle profondità carsiche, una storia tumultuosa, per più di 40 chilometri il corso ipogeo del  fiume attraversa antri, caverne e abissi profondi.
“Il fiume nasce sul lato sud del monte Nevoso  a circa 42 km a sud-est di Trieste e nella prima parte prende il nome di Timavo superiore. Dopo un percorso di circa 37 km., poco prima di Trieste, sprofonda nelle spettacolari grotte di S. Canziano, a 250 metri di profondità, nell’Abisso di Trebiciano, dove scorre a 329 metri sotto il livello del mare, e nel Pozzo dei Colombi, poco a monte della Chiesa di San Giovanni di Duino. Qui il Timavo, con una voce potente e roboante, fa sentire tutta la sua forza. Gli abissi presentano una panoramica spettacolare sul fiume sotterraneo e sul fascinoso mondo ipogeo del Carso. Una visita alle quattro “finestre” sul Timavo sotterraneo può offrire un punto di vista esclusivo, unico e avvincente sulle peculiarità del territorio carsico.
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vedute parziali delle foci del Timavo 

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          Dopo quaranta chilometri nascosto nelle viscere della terra il Timavo riappare, con tre sorgenti, in tutta la sua tranquilla bellezza, a San Giovanni, nel Comune di Duino-Aurisina, a circa due chilometri dal punto in cui si tuffa nel mare. Alle sue spalle 87 chilometri di viaggio, di cui poco più della metà in superficie.”( rif.geografici http://www.marecarso.it/da_vedere_timavo.htm)
              Si parla dunque di foci del Timavo, ma essendo anche il punto in cui sgorgano le acque, si può dire indifferentemente anche sorgenti, fonti o bocche, come le chiamavano gli antichi inconsci del lungo percorso nel sottosuolo carsico.
       Questo fiume che scompare sotto terra per riapparire dopo un lungo tratto sotterraneo  dette adito a moltissime storie e solo nel 1610, il naturalista e fondatore della geografia storica, Filippo Cluverio (nome italianizzato di Philipp Clüver o Klüver) ipotizzò che fosse un solo fiume, che dopo essersi inabissato riemergeva dividendosi poi in tre bocche per sfociare infine nel mare Adriatico.
           La conformazione idrogeografica  del luogo è cambiata nei secoli,  infatti  il numero delle “bocche”  viene  indicato  in sette dallo storico e geografo romano
 Strabone (nato ad  Amasia, attualmente  Turchia , ca. 64 a.C.-ca. 24 d.C): 
“In fondo al golfo adriatico sorge il Santuario di Diomede. Il Timavo vi ha un porto, un bosco sacro bellissimo e sette bocche, con sette corsi, che confluiscono in un solo fiume largo e profondo, che dopo breve tratto sfocia nel mare”

Virgilio scrive di nove bocche 
“Antenor potuit mediis elapsus Achivis
Illyricos penetrare sinus atque intuma tutus
Regna Liburnorum et fontem superare Timavi,
Unde per ora novem vasto cum murmure montis
it mare proruptum et pelago premit arva sonanti.”

(Antenore, scampato agli Achei, poté entrare nel golfo illirico, spingersi in modo sicuro nel regno dei Liburni e superare (le sorgenti del) Timavo che simile a un mare impetuoso erompe dalla montagna per nove bocche con alto frastuono e inonda i campi di un acqua risonante.) 
Eneide, I, vv.242-246

San Paolino (vescovo d’Aquileia, in età longobarda) nel 799 d.c. scrive anche lui di nove fonti. 
“Timavo, piangi con me in nove rivoli, 
scaturendo da nove fonti, 
piangi sinchè t’inghiotte il mare Adriatico.”

Andrea Rapicio vescovo (Trieste1533-1573) scrive di sette gorghi. 
Ecco gli stagni del Timavo; donde
bello a vedersi fresche e cristalline
da sette gorghi fuor sboccano l’acque
(dal poema Histria)

Tito Livio e Plinio ci hanno lasciato una testimonianza della località senza però dirci quante fossero queste bocche

Tito Livio ( Le storie, XLI, 1, 2) 
“…profectus ab Aquileia consul castra ad Lacum Timavi posuit, imminet mari is lacus. Eodem decem navibus C.Furius duumvir navalis venit.” ( Le storie, XLI, 1, 2)
(…partito da Aquileia, il console pose l’accampamento al Lacus Timavi: questo lago si protende sul mare. Lì giunse con dieci navi il duumviro navale C.Furio.)

Plinio  nella sua Storia Naturale parla diffusamente della zona, dell’ amnis Timavus, del castellum nobile vino Pucinum, del Tergestinus sinus, della colonia Tergeste.    Ricorda le Insulae clarae come sede di terme frequentate perché ritenute molto salutari.
           Nota che Livia , moglie di Augusto, attribuiva i suoi 86 anni d’età al vino Pucino, prodotto in piccole quantità
“ nel golfo dell’ Adriatico non lontano dalle sorgenti del Timavo, su un colle sassoso, dove le viti si aprivano al caldo influsso marittimo
 (…gignitur in sinu Hadriatici maris non procul Timavo fonte saxoso colle, maritimo adflatu paucas coquente amphoras.”Naturalis Historia 14, 60)

             Questo il contesto storico geografico della località in cui avvenne la battaglia delle foci del Timavo, che vide impegnate le truppe dell’impero austro-ungarico e quelle italiane, tra il 23 e il 30 maggio 1917.
          Il giorno 28 di quel mese accadde l’episodio drammatico in cui rimasero coinvolti l’allora capitano Gabriele d’Annunzio e il maggiore Giovanni Randaccio, comandante di un battaglione dei “Lupi di Toscana”, che, colpito a morte, spirò tra le braccia  del Poeta, il quale ne raccolse i cimeli e, come spiega lui stesso in una lettera, fece collocare il sangue raccolto sulle mostrine in una croce: la Croce del Sangue.


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